Treni


 
Stazioni affollate, profumo di caffè e pane tostato, un ragazzo corre con lo zaino, una mamma soffia il naso al suo bambino, il capostazione fischia la partenza, il treno parte. Lo spazio che occupavano i lunghi vagoni del “Freccia rossa” ora è vuoto. Qualche foglio svolazza qua e là, lo spazzino raccoglie le sigarette per terra e qualche viaggiatore è seduto sulla panchina. Chi legge, chi ascolta musica e chi mangia uno spuntino.Io sono il tempo che passa, il vento dell’età che soffia su tutti voi. Seguo le rotte dei treni, vagoni interminabili di questo mio vagare infinito. Amo le stazioni, sono luoghi di incontri, di abbracci e di
addii. Il momento del distacco è quello più inquietante, più malinconico. Gli occhi non si separano gli uni dagli altri fino a quando intervengo io con il fischio del capostazione. Gli occhi cercano, scrutano tra la folla, le braccia si alzano per indicare la presenza ed i sorrisi illuminano i visi, le gambe allungano il passo, il fiatone si fa sentire e la voce urla la  felicità. Siedo tra di voi, leggo le vostre riviste, i vostri libri, ascolto la vostra musica tra le cuffie e batto i tasti sul pc.




Mi appisolo sullo schienale e guardo fuori fino a quando gli occhi si chiudono e odo il rumore dei vagoni in lontananza. Sobbalzo allo stridere dei freni e mi curvo in avanti come un pupazzo senza fili. Guardo fuori, il nulla, il silenzio, un campo di grano dorato è invaso da papaveri rossi, spuntano qua e là come fragole tra i cerali. Nessuna stazione, nessun rumore, il treno è vuoto, fermo e sospeso.
Che sia arrivata la mia ora? Che sia giunta la mia fine? Il tempo ha fine? Il mio vagare non può interrompersi, terminerebbe “ Il Tutto”. Il campo di grano diventa sempre più piccolo, il cielo azzurro lo invade e le spighe dorate lasciano spazio ad onde marine fluttuanti. Il vagone si
 
capovolge, mi tengo ben saldo allo schienale, libri, Ipod, giacche, pacchetti di caramelle consumate,
fluttuano tra i corridoi, senza peso, senza direzione.
Sono pietrificato. Il tempo si pietrifica? Il tempo può rimanere immobile? Cerco di muovere una
gamba, impossibile. Apro la bocca, nessun suono. Voglio chiudere gli occhi, “c’est ne pas possible”. Le tende si chiudono all’improvviso, il buio sbatte la porta della mia paura. Un momento di terrore totale. E se fosse finita davvero? Da tempo pensavo  alla libertà, alla possibilità di
“morire” come voi umani, di nascere, vivere, piangere, ridere, invecchiare, ricordare i momenti belli della mia vita e morire con un sorriso sulle labbra, felice del mio passaggio su questa terra. Ora tutto ciò si potrebbe avverare. Il buio è il preludio della luce e viceversa. Se io termino, tutto termina. E’ veramente giusto? I mari si prosciugherebbero, i prati lascerebbero il posto a lande desolate e il sole
spegnerebbe la luce. Una musica in lontananza, un violino, credo, distoglie i pensieri dalla mia mente, le note si fanno più vicine, le mie mani sono libere, le gambe pure, piccole candele si accendono e il vagone è cambiato. Sedili in pelle, tavolini, tendine bianche trasparenti, un’ “orient
express” in piena regola. Uno spettacolo! Chi suona il violino? Una fanciulla eterea, lieve con occhi
cerulei e capelli color miele. “ Chi sei? “ le chiesi. “ Sono la vita “ rispose. Un giullare la segue. E’ vestito di rosso e verde e sorride. Mi guarda e dice: “ Sono la morte “.  Il tempo, la vita e la morte seduti a tavolino ad aspettare. Un
cameriere ci porta tre bevande diverse : un bicchiere di vino rosso, un caffè ed un “Bloody Mary”.
Secondo voi chi sorseggerà cosa? Io prendo il caffè, il tempo deve stare sempre sveglio. Il giullare,  bé un “ Bloody Mary”, rosso, corposo e saporito. La vita va vissuta in piena regola quindi il vino è la bevanda ideale per accompagnare le note del violino. La conversazione è nulla. Imbarazzo e
timidezza. Non ci eravamo mai incontrati, solo visti di sfuggita. In genere ci incrociamo al momento di una nascita, di una morte e in situazioni particolari. Prendo io la parola: “ Chi ha organizzato tutto questo secondo voi? “ Vita mi guarda perplessa, con una vocina flebile dice: “ Non saprei”. Giullare fa tintinnare il suo cappello  e con un sorriso spaventoso ed una voce roca bisbiglia” Io lo so ma non lo dico ah ah ah” Inghiotte il suo aperitivo tutto d’un fiato, si pulisce la bocca con il bavero della camicia e va a sedersi in un altro tavolino. Il cameriere porta via ciò che era sul tavolo e con tono professionale ci invita a tacere e a chiudere gli occhi. Stupiti ed incerti ci guardiamo tutti e tre negli occhi. Bene li chiudiamo e aspettiamo. La porta a spinta si apre .
Apriamo gli occhi ed ecco ciò che vediamo: una donna vestita di nero entra. Bellissima, avvolta in un abito fasciato, capelli neri ed occhi neri.. Labbra rosso vivo e pelle bianchissima. Guanti di raso neri lunghi a coprire le braccia morbide. Cammina sinuosa e fuma con lentezza.
Espira grandi cerchi di vapore grigio. Estrae dalla sua pochette di pailletes un mazzo di carte e le posa sul nostro tavolino.“ Sono Madame Fatalità “ decido la sorte con questi biglietti colorati.

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