Festivaletteratura 2024- Impressioni

Le chiacchiere, il brusio, i sorrisi, gli incontri di vecchi amici che si ritrovano ogni anno qui, qui a Mantova, qui, a Festivaletteratura, un mondo a sé, un tempo a sé. Si incontrano da più di vent’anni, di due, di quindici, di uno, cinque minuti. Zaini in spalla, borse a tracolla, taccuini, quaderni, registratori, macchine fotografiche, occhi rapiti, orecchie in ascolto, cuori all’unisono, applausi, risate, commozione, alchimia, passione studio, immaginazione, inventiva. Il blu è il colore filo conduttore e lo ritrovi ad ogni angolo, le magliette dei volontari, i cartelli stradali, stendardi, cartelloni, il blu ti accompagna, ti riconosce, ti instrada verso il momento magico della conoscenza, dell’ironia, del disegno, del laboratorio, dei colori, della musica, del fumetto.

Ecco alcune frasi che sono riuscita a scrivere sul mio quaderno.

Erri De Luca

“Le persone hanno bisogno di ascoltare parole con un peso specifico diverso da quello che circolano in giro, ad esempio nella pubblicità e nella propaganda politica. Le persone hanno bisogno della forza della letteratura, di quei momenti di stupore e felicità che solo la lettura sa regalare. Certi libri mi hanno spalancato occhi e cranio.”

“Attrazione del vuoto che si accumula sotto scalando, con il vento forte, il vento e il respiro della terra, della montagna che si confonde con il mio.”

“Le amicizie si fondono lentamente in maniera delicata, basta una piccola slealtà che l’amicizia si sbriciola. L’amicizia è rara e continua anche se uno dei due viene a mancare, vive nell’altro. L’amicizia è reciproca ammirazione.”

Corrado Augias

Finalmente e non con poca fatica sono riuscita a recuperare un posto in piedi, un paio d’ore prima, non me lo sarei perso per nulla al mondo. Eh niente, sentire la sua voce dal vivo, é tutta un’altra storia.

Ecco alcuni suoi pensieri:

“Gli equilibri che duravano dalla fine dell’ultima guerra mondiale e che oggi, come vedete, barcollano da tutte le parti, le guerre che vediamo in corso alle porte dell’Europa possono anche essere interpretate, come spero di sbagliare, con anzi sicuramente sbaglio…  il passaggio dalla cultura della carta alla cultura digitale, per cui, tanti giovani ignorano la carta stampata, si tratti di giornali quotidiani, e vabbè, ci sono altri modi di informarsi ma anche di libri che invece restano uno strumento unico di informazione rispetto a qualunque mezzo elettronico. Io canto la lode del libro a stampa, perché il libro a stampa ce l’hai in mano, lo stringi, è un oggetto concreto, leggi, non capisci, torni indietro, sottolinei, vai avanti, lo tieni sul comodino, torni a leggere.  Qualcuno diceva “ma lo puoi fare pure col computer”, sì ma è un’altra cosa, la  vicinanza e il contatto, il tatto, coinvolgere il tatto nella conoscenza è un’altra cosa rispetto alla sola forza dello sguardo, ecco.”

 … un piccolo motto di chiusura lo inserisco invece qui tra le tante possibilità esaminate alla fine ho scelto le parole di John Malkovich cioè di un attore, anche se molto particolare, mi sono piaciute per la loro sintetica quasi brutale precisione e suonano così “ si vive senza capire granché, quando si afferra il senso della vita, è ora di morire”.  Riflessione secca nella quale mi riconosco perché anch’io sono vissuto a lungo senza capire granché e il mio più profondo rammarico. Ora so che la vita si impara…

 …Perché figlio della guerra? perché quando io vedo al telegiornale A Gaza in Cisgiordania in Ucraina quei ragazzini che giocano tra le macerie con i residuati bellici o con le bombe, inevitabilmente mi ricordo che io stesso con alcuni altri piccoli sventurati ho fatto le stesse cose. Un mio amico perse un braccio, metà di un braccio, strappando senza rendersene conto la sicura a una bomba a mano . Perché a Roma, io abitavo dalle parti di porta Latina, dove si era combattuto. E i prati erano disseminati di ordigni coi quali giocavamo. Perché i bambini si adattano a quello che trovano, pensano che quella sia la normalità. Poi, crescendo, diventando adulti, invecchiando, ti rendi conto che quella era sì, la normalità ,ma una normalità patologica, una normalità fatta di violenza, di fame . Fame, dico, in senso letterale, fame nel senso che non c’era da mangiare. Mia madre, una volta che una bomba , aveva colpito  un camion pieno di zucchero,  intorno al quale si erano subito gettati come le formiche, lei, non aveva niente ed essendo una donna pudica si alzò la gonna e pregò qualcuno ti riempirle la gonna, tenuta con le due mani, con un pò di zucchero, per cui mangiamo zucchero per qualche giorno e mio padre la prendeva in giro dicendo” più che il pudor poté la fame”

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